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DIFFAMAZIONE ONLINE: A CHI LA COMPETENZA?

DIFFAMAZIONE ONLINE: A CHI LA COMPETENZA?

Chi offende l’altrui reputazione attraverso facebook o social network simili rischia di incorrere nel reato di diffamazione. Ma qual è il Giudice competente in materia? Ecco cosa è opportuno sapere.

Anche una semplice scritta sul proprio stato può diventare una condotta penalmente perseguibile in concorso, ovvero la condivisione di un post diffamatorio e talvolta anche un semplice like. Questo è il terreno di “lavoro” per i cosidetti haters (tradotto letteralmente “odiatori”), ovvero gli utenti dei social network che, protetti dallo schermo, sfogano rabbia e frustrazioni contro personaggi pubblici, parenti, compagni di scuola e perfino persone sconosciute.

Il problema, però, è che colpevole e persona offesa, potrebbero essere molto distanti tra loro. Si pensi ad un utente facebook residente in Lombardia che offenda una persona che si trova in Sicilia; oppure ad un pugliese che insulti sulla bacheca social un ligure. In tutte queste ipotesi, dove si svolgerà il processo penale? Con questo articolo spiegheremo cos’è la diffamazione online e qual è il giudice competente

Cos’è la diffamazione?

La diffamazione consiste nell’offendere la reputazione di un’altra persona quando questa non sia presente (art.595 cp) . L’offesa, quindi, deve essere comunicata a terze persone, non al diretto interessato, il quale nemmeno deve essere presente: è questa la grande differenza con l’ex reato di ingiuria (art.594 cp oggi depenalizzato) .

Mentre con l’ingiuria si lede la considerazione che la persona offesa ha di se stessa, con la diffamazione si lede la reputazione che la vittima ha all’interno della società. Per questo motivo essa è ritenuta più grave della semplice ingiuria e, pertanto, a differenza di quest’ultima, la diffamazione è ancora punita con la reclusione.

Il codice penale punisce il reato di diffamazione “semplice” con la reclusione fino a un anno oppure, in alternativa, con la multa fino a 1032 euro. Se, però, l’offesa consiste nell’attribuzione di un fatto determinato, la pena è della reclusione fino a due anni, ovvero della multa fino a 2.065 euro.

Se l’offesa è recata col mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicità, ovvero in atto pubblico, la pena è della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516 euro.

Se l’offesa è recata a un Corpo politico, amministrativo o giudiziario, o ad una sua rappresentanza o ad una autorità costituita in collegio, le pene sono aumentate.

Gli ultimi casi prospettati possono essere definiti di diffamazione aggravata, in quanto ritenuti maggiormente deleteri rispetto alla diffamazione semplice, cioè quella punita con la reclusione massima di un anno.

Per quanto riguarda l’attribuzione di un fatto determinato, deve trattarsi di un episodio sufficientemente delineato, di modo che possa essere più credibile e, pertanto, possa arrecare un maggior danno al diffamato rispetto ad una diffamazione generica.

La diffamazione su facebook: è reato?

Chi offende la reputazione, la dignità o l’onore di un’altra persona utilizzando facebook non solo si macchia del reato di diffamazione, ma addirittura di diffamazione aggravata. Perché? Semplice: perché chiunque può leggere l’offesa scritta sul social. Insultare una persona su un social network equivale a oltraggiarla pubblicamente, come se si utilizzasse la stampa oppure si trovasse in una piazza affollata.

Proprio la dimensione di internet fa sì che il reato sul web sia considerato più grave di quello realizzato in una realtà materiale: più precisamente, l’utilizzo di internet integra l’ipotesi di diffamazione aggravata dall’uso di un mezzo di pubblicità, stante la particolare capacità divulgativa del mezzo telematico. Ciò ha riflessi anche sulla competenza del giudice: giudicare della diffamazione aggravata spetta al tribunale in composizione monocratica, mentre la diffamazione semplice è di competenza del giudice di pace.

Qual è il giudice competente?

Appurato che la diffamazione online è un’ipotesi di diffamazione aggravata, resta da capire davanti a quale giudice l’imputato si troverà a difendersi. In particolare, due sono le ipotesi che si fronteggiano:

  1. giudice territorialmente competente è quello del luogo ove è avvenuto il reato: in questa circostanza, il processo si celebrerebbe nel posto ove si trovava il reo al momento del fatto, cioè quando ha digitato l’offesa (Cass., sent. n. 31677/2015);
  2. giudice territorialmente competente è quello del luogo ove si trovava la vittima nel momento in cui ha avuto percezione dell’offesa, cioè quando ha letto gli insulti a lui pubblicamente diretti.

La giurisprudenza oscilla tra i due orientamenti appena richiamati. A rigore, la tesi da accogliere sarebbe la seconda, in quanto il reato di diffamazione si intende consumato (cioè, perfezionato), solamente nel momento in cui la vittima ne ha percezione. In realtà, però, poiché è difficile capire quando concretamente si realizza la lesione all’onore, la Corte di Cassazione preferisce adottare il criterio più sicuro del luogo ove il contenuto offensivo è stato caricato: prevale quindi in giurisprudenza la tesi che individua il giudice competente del reato di diffamazione online in quello del luogo in cui la condotta lesiva si è realizzata, che è il posto dove si trovava il colpevole al momento del fatto (Cass., sent. n. 8482/2017 del 22.02.2017).

Ma è sempre reato?

La diffamazione online perpetrata attraverso i social network si può perfezionare anche a mezzo chat o sistemi di messaggistica istantanea, a meno che l’offesa non sia inviata attraverso mail o messaggi diretti a un unico destinatario: in questo caso, non si potrà avere diffamazione ma al massimo ingiuria. Se invece il messaggio viene inoltrato a destinatari diversi e molteplici, ad esempio attraverso gruppi whatsapp, le cose cambiano: per la giurisprudenza la condotta è più grave, si tratta di diffamazione aggravata dal mezzo di pubblicità e la competenza è del tribunale.

Perché scatti il reato di diffamazione non è necessario che la vittima sia identificata con il suo nome e cognome: bastano anche indicazioni univoche che tolgano ogni dubbio sul destinatario della frase.

Marina Manfredi

Laurea Magistrale conseguita presso l'Università Statale di Brescia. Avvocato cassazionista con specializzazione nei reati commessi nei confronti dei soggetti deboli, acquisisce esperienza nel settore legale della navigazione online a tutela della privacy. Iscritta all'Associazione Avvocati Sportivi Italiani e all'albo dei giornalisti cat. Pubblicisti.

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