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CYBERBULLISMO, QUATTRO ANNI DALL’ENTRATA IN VIGORE DELLA LEGGE

In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo e del Safer Internet Day, anche TikTok si fa portavoce attraverso diverse iniziative

Si sente sempre più spesso di parlare di Cyberbullismo, quella forma di bullismo che avviene tramite Internet.

Un comportamento violento che avviene online, in maniera sistematica e reiterata nel tempo, in cui l’aggressore o gli aggressori insultanominacciano e cercano volontariamente di provocare danno a un altro soggetto o gruppo, spesso non in grado di difendersi o percepito come più debole.

La legge 29 maggio 2017, nº71, volta a prevenire il cyberbullismo in Italia, presenta il fenomeno in maniera dettagliata, riferendosi a «qualunque forma di pressione, aggressione, molestia, ricatto, ingiuria, denigrazione, diffamazione, furto d’identità, alterazione, acquisizione illecita, manipolazione, trattamento illecito di dati personali in danno di minorenni, realizzata per via telematica, nonché la diffusione di contenuti online aventi ad oggetto anche uno o più componenti della famiglia del minore il cui scopo intenzionale e predominante sia quello di isolare un minore o un gruppo di minori ponendo in atto un serio abuso, un attacco dannoso, o la loro messa in ridicolo».

A differenza di quanto avviene nei casi di bullismo “tradizionale” che può comportare anche aggressioni di tipo fisico, nei casi di cyberbullismo la violenza si estende o avviene in Rete, tramite l’uso di piattaforme di messaggisticasocial network chat di videogiochi.

ll Cyberbullismo è una cyber-violenza dalle molteplici forme, suddivisibili in diverse tipologie:

FLAMING 
Con tale termine si indicano messaggi elettronici, violenti e volgari, mirati a suscitare “battaglie” verbali online, tra due o più contendenti, che si affrontano ad “armi pari” per una durata temporale determinata dall’attività on line condivisa.
Il flaming può essere, infatti, circoscritto ad una o più conversazioni che avvengono nelle chat o caratterizzare la partecipazione (soprattutto degli adolescenti di sesso maschile) ai videogiochi interattivi su internet (game).
In questo secondo caso, ad esempio, possono essere presi di mira, con insulti e minacce, i principianti che, con il pretesto di errori inevitabilmente connessi all’inesperienza, diventano oggetto di discussioni aggressive.
E’ bene precisare che una lunga sequenza di messaggi insultanti e minacciosi (flame war) potrebbe, in alcuni casi, precedere una vera e propria aggressione nella vita reale.

HARASSMENT 
Dall’inglese “molestia”, consiste in messaggi scortesi, offensivi, insultanti, disturbanti, che vengono inviati ripetutamente nel tempo, attraverso E-mail, SMS, MMS, telefonate sgradite o talvolta mute.
Si tratta di una relazione sbilanciata tra il/i bulli e la vittima nella quale, come nel tradizionale bullismo, quest’ultima subisce passivamente le molestie o, al massimo, tenta, generalmente senza successo, di convincere il persecutore a porre fine alle aggressioni.
In alcuni casi, il cyberbullo, per rafforzare la propria attività offensiva, può anche coinvolgere i propri contatti on line (mailing list), che, magari pur non conoscendo direttamente lo studente target, si prestano a partecipare alle aggressioni on line 

CYBERSTALKING 
Quando l’harassment diviene particolarmente insistente ed intimidatorio e la vittima comincia a temere per la propria sicurezza fisica, il comportamento offensivo assume la denominazione di cyber-persecuzione. E’ facile riscontrare il cyberstalking nell’ambito di relazioni fortemente conflittuali con i coetanei o nel caso di rapporti sentimentali interrotti.
In questo caso, il cyberbullo, oltre a minacciare la vittima di aggressioni fisiche può diffondere materiale riservato in suo possesso (fotografie sessualmente esplicite, videoclip intimi, manoscritti personali) nella rete.

DENIGRATION 
L’obiettivo del cyberbullo è, in questo caso, quello di danneggiare la reputazione o le amicizie di un coetaneo, diffondendo on line pettegolezzi e/o altro materiale offensivo.
I cyberbulli possono, infatti, inviare o pubblicare su internet immagini (fotografie o videoclip) alterate della vittima, ad esempio, modificando il viso o il corpo dello studente target al fine di ridicolizzarlo, oppure rendendolo protagonista di scene sessualmente esplicite, attraverso l’uso di fotomontaggi.
In questi casi, i coetanei che ricevono i messaggi o visualizzano su internet le fotografie o i videoclip non sono, necessariamente, le vittime (come, invece, prevalentemente avviene nell’harassment e nel cyberstalking) ma spettatori, talvolta passivi del cyberbullismo (quando si limitano a guardare), più facilmente attivi (se scaricano – download – il materiale, lo segnalano ad altri amici, lo commentano e lo votano).
Dunque, a differenza di quanto avviene nel cyberstalking, l’attività offensiva ed intenzionale del cyberbullo può concretizzarsi in una sola azione (esempio: pubblicare una foto ritoccata del compagno di classe), capace di generare, con il contributo attivo, ma non necessariamente richiesto, degli altri utenti di internet, effetti a cascata non prevedibili.
La denigration è la forma di cyberbullismo più comunemente utilizzata dagli studenti contro i loro docenti: numerosi sono, infatti, i videoclip, gravemente offensivi, presenti su internet, riportanti episodi della vita in classe. In alcuni casi le scene rappresentante sono evidentemente false e, dunque, ri-costruite ad hoc dallo studente, talvolta sono, purtroppo, vere.

IMPERSONATION 
Se uno studente viola l’account di qualcuno (perché ha ottenuto consensualmente la password o perché è riuscito, con appositi programmi, ad individuarla) può farsi passare per questa persona e inviare messaggi (E-mail) con l’obiettivo di dare una cattiva immagine della stessa, crearle problemi o metterla in pericolo, danneggiarne la reputazione o le amicizie.
Pensiamo, ad esempio, al caso dello studente che, impossessatosi dell’account di un coetaneo, invia, dalla mail dell’ignaro proprietario, con facilmente immaginabili conseguenze, messaggi minacciosi ai compagni di classe o ai docenti.

OUTING AND TRICKERY 
Si intende con il termine “outing” una forma di cyberbullismo attraverso la quale, il cyberbullo, dopo aver “salvato” (registrazione dati) le confidenze spontanee (outing) di un coetaneo (SMS, Chat, etc), o immagini riservate ed intime, decide, in un secondo momento, di pubblicarle su un Blog e/o diffonderle attraverso E-mail.
In altri casi, il cyberbullo può sollecitare, con l’inganno (trickery), “l’amico” a condividere online segreti o informazioni imbarazzanti su se stesso o un’altra persona per poi diffonderli ad altri utenti della rete, o minacciarlo di farlo qualora non si renda disponibile ad esaudire le sue richieste (talvolta anche sessuali).

EXCLUSION 
Il Cyberbullo decide di escludere intenzionalmente un coetaneo da un gruppo online (“lista di amici”), da una chat, da un game interattivo o da altri ambienti protetti da password. Talvolta gli studenti per indicare questa modalità prevaricatoria utilizzano il termine “bannare”.

CYBERBASHING O HAPPY SLAPPING 
Un ragazzo o un gruppo di ragazzi picchiano o danno degli schiaffi ad un coetaneo, mentre altri riprendono l’aggressione con il videotelefonino. Le immagini vengono, poi, pubblicate su internet e visualizzate da utenti ai quali la rete offre, pur non avendo direttamente partecipato al fatto, occasione di condivisione on line (possono commentare, aprire discussioni, votare il video preferito o più “divertente”, consigliarne la visione ad altri…).

Tutte le condotte di Cyberbullismo possono configurare differenti tipologie di reati, ovvero la diffamazione, lo stalking, le minacce, le ingiuirie. Quest’ultimo da poco depenalizato.

 “I dati Istat più recenti in merito purtroppo arrivano al 2015. In ogni caso emergeva che più del 50% degli intervistati fra gli 11 e i 17 anni (oltre il 55% delle ragazze) riferiva di essere rimasti vittima, nei 12 mesi precedenti l’intervista, di un qualche episodio offensivo, non rispettoso e/o violento. Uno su cinque di questi ragazzi dichiarava addirittura di aver subito azioni tipiche di bullismo una o più volte al mese. Il 9,9% delle ragazze subisce atti di bullismo una o più volte a settimana, rispetto all’8,5% dei maschi.
A questo si aggiunge il cyberbullismo, che rappresenta  un rischio maggiore nelle fasce d’età più giovani, in particolare fra i pre-adolescenti. Circa il 7% dei bambini tra 11 e 13 anni è risultato vittima di prepotenze tramite cellulare o Internet una o più volte al mese, contro il 5,2% tra i ragazzi dai 14 ai 17 anni.”

(da “Il sole 24ore” del 14 giugno 2020 su bullismo e cyberbullismo)

Come è possibile contribuire a prevenire il cyberbullismo?

  • Bloccando gli account utilizzati da cyberbulli per diffondere il loro odio
  • Segnalando i cyberbulli ai service provider, come Facebook o Twitter
  • Avendo cura delle proprie password e proteggendo il telefono mediante password

In occasione della Giornata Nazionale contro il Bullismo e il Cyberbullismo e del Safer Internet Day, rispettivamente il 7 e l’11 febbraio, anche TikTok – l’applicazione più scaricata nel 2019 – si sta facendo portavoce di questa importante tematica attraverso diverse iniziative, fra cui una “challenge” dedicata, una gara in rete. 

Utilizzando l’hashtag #NoBullismo  si può condividere la propria storia personale oppure rivolgendosi al numero unico 114 attivo 24 ore su 24.

Lara La Piscopia

DIFFAMAZIONE E DIRITTO ALL’IMMAGINE AI TEMPI DEL COVID

Nei giorni di quarantena forzata è capitato di verificare che alcune persone tendono a tenere comportamenti illeciti o comunque che violano le normative vigenti. Permane però il diritto alla riservatezza ed alla reputazione di ogni individuo.

Nei giorni di isolamento dettato dalle normative in merito al Coronavirus è capitato a tutti noi, ed in particolare a chi ha un forte senso del rispetto delle regole, di verificare che alcune persone tendono a tenere comportamenti illeciti o comunque che violano le normative vigenti. Tali comportamenti, che in una situazione di normalità sarebbero generalmente considerati al più riprovevoli e forse anche tollerati, divengono invece nella situazione che tutti viviamo quotidianamente, non ammissibili, in quanto possono mettere in pericolo la salute di ciascuno di noi e sono pertanto inaccettabili.

Ciò detto, peraltro, fermo restando che è del tutto legittimo esprimere il proprio diritto di critica, anche in modo diretto nei confronti di quei soggetti che paiono non rispettare le regole di comune convivenza che oggi rappresentano anche le regole fissate per evitare la diffusione del contagio, occorre fare sempre molta attenzione alle modalità con cui si manifesta il proprio dissenso.

Spesso infatti in questi giorni si assiste alla diffusione sui social di immagini di persone che escono di casa a piedi o in automobile e che vengono filmate a loro insaputa e la cui identità appare in chiaro, spesso accompagnata da altri elementi che ne rendono agevole l’identificazione ( numeri civici e vie delle loro abitazioni, targhe delle macchine). Tali immagini vengono oltretutto spesso condivise ed accompagnate da post nei quali le suddette persone vengono tacciate di aver violato norme di legge o addirittura di essere dei veri e propri untori, insinuando che siano soggetti alla misura della quarantena.

Anche qualora vi fosse fondamento in ciò che si vuole denunciare, ricordiamo tuttavia che una tale condotta costituisce un illecito. In tal modo infatti si viola la legge, ricorrendo ad una giustizia fai da te che è contraria proprio allo stato di diritto che vogliamo tutelare. Bene sarebbe invece segnalare i casi alle autorità preposte alle verifiche, le uniche che hanno la potestà di accertare se in effetti siano stati posti in essere dei comportamenti illegittimi e, in caso affermativo, di sanzionarli.

Permane, infatti, il diritto alla riservatezza ed alla reputazione di ogni individuo, diritto che non può venire assolutamente compromesso, posto altresì che le pur legittime segnalazioni devono essere verificate dagli organi preposti (polizia, carabinieri) che in caso di accertate violazioni irrogano le sanzioni previste dall’art 4 del D.L. 25 marzo 2020.

Coloro i quali, anziché rivolgersi alle autorità competenti, decidono deliberatamente di adottare soluzioni giustizialiste, pubblicando immagini di terzi senza il loro consenso sui social, ovvero condividendole su chat di gruppo, insinuando anche che costoro stiano violando la legge, commettono le seguenti violazioni:

  1. art 10 c.c. che tutela il diritto all’immagine delle persone e che stabilisce il diritto al risarcimento del danno e la cessazione dell’abuso da parte di chi espone o pubblica l’immagine di una persona o dei suoi congiunti ” fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti”;
  2. art 595 comma 3 c.p. ( diffamazione aggravata) che punisce con la pena della reclusione da sei mesi a tre anni o della multa non inferiore a 516,00 € chi, comunicando con più persone ( e dunque anche sui social o nelle chat di gruppo o a mezzo posta elettronica), offende l’altrui reputazione.

Occorre dunque, anche in questa situazione emergenziale, prestare la massima attenzione ed utilizzare i social avendo riguardo al diritto alla riservatezza ed alla reputazione altrui.

Lara La Piscopia

I RISCHI DEL “SEXTING” TRA I MINORI

La tendenza a inviare foto e messaggi sessualmente espliciti via PC o smartphone, coinvolge un adolescente su quattro, un incubo per i genitori dell’era digitale.

Con il termine “sexting” si indicano tutte quelle condotte poste in essere nell’ambito di un rapporto interpersonale di natura privata, di produzione, possesso o cessione di immagini o video pornografici autoprodotti in modo spontaneo da un minore e da questi inviati ad un partner, ad un amico, ad un coetaneo. In tal caso si parla di “sexting primario“. Quando le suddette immagini e i video vengono ceduti o diffusi a terzi da parte di chi li ha ricevuti da un minore, senza il suo consenso, si parla invece di “ sexting secondario“. Spesso ciò si verifica al termine di una relazione sentimentale tra coetanei, in genere al fine di umiliare l’ex partner, per arrecargli un danno o per vendetta ( in quest’ultimo caso si parla di ” revenge porn“).

I pericoli sottesi a questa pratica molto diffusa tra i minori sono molto alti (secondo una recente ricerca di skuola.net della Polizia di Stato almeno un minore su 4 di età compresa tra i 13 ed i 18 anni ha praticato il “sexting ” e, di questi, almeno il 15% ha subito la cessione a terzi delle immagini intime che lo riguardavano).

Ma perchè il sexting è da considerarsi pericoloso?

Se è vero che le app per il sexting permettono di inviare messaggi che si autodistruggono e impediscono al destinatario di scaricarle e di effettuare screenshot, il fenomeno si è diffuso anche attraverso altre app di messaggistica instantanea, la più usata tra queste è WathsApp. Quindi, le sole app di settore, potrebbero non essere sufficienti per mettersi al riparo dal revenge porn e altri tentativi di ricatto di partner poco leali o ex in cerca di vendetta. Per un adolescente, dedicarsi al sexting è molto semplice, ma alquanto pericoloso, soprattutto se nel praticarlo si è poco attenti alla propria privacy e alla difesa della propria intimità.
Diversi casi di cyberbullismo, testimoniano che non sempre le foto o i video realizzati per il sexting restano privati. Può capitare, per i motivi più svariati, che la persona che li riceve inizi a diffonderli online, provocando danni (sia psicologici, sia d’immagine) difficilmente calcolabili.

Una volta che si preme sul pulsante invia, infatti, la foto o il video non sono più sotto il nostro diretto controllo e, di fatto, chi li riceve può decidere di utilizzarli come meglio crede. Prima di diventare un fenomeno virale del web, e trovarsi invischiati in una vicenda a dir poco squallida, meglio quindi pensare preventivamente a tutte le possibili conseguenze.

Per questo, è assolutamente necessario che il minore che scopra che le proprie immagini e/o video intimi sono state cedute a terzi senza il suo consenso, sporga tempestivamente denuncia-querela, così da arginare gli effetti che potrebbero derivare dalla diffusione dei contenuti ad un numero indeterminato di persone.

Tale condotta, infatti, integrerà il reato di cui all’art. 600 ter comma 4 c.p. (offerta o cessione di materiale pedopornografico), punito con la reclusione fino a tre anni e con la multa da € 1.549,00 a € 5.164,00, ovvero il più grave reato di cui all’art. 600 ter comma 3 c.p. , allorché il materiale venga messo a disposizione di soggetti indeterminati, (diffusione od offerta di pedopornografia), punito con la reclusione da 1 a 5 anni e con la multa da €2.582,00 ad € 5.1545,00. In entrambi i casi la Procura dovrà procedere d’ufficio a svolgere le indagini del caso.

Per la giurisprudenza è irrilevante il fatto che il materiale sia stato in origine prodotto direttamente dal minore senza una sua oggettiva utilizzazione da parte di terzi e ciò in quanto la strumentalizzazione del soggetto minore avviene nel momento in cui la sua immagine diviene oggetto di cessione per il soddisfacimento di altri interessi. E’ importante, dunque, che il minore vittima di tali condotte superi la vergogna o il senso di colpa che purtroppo spesso, anche se ingiustamente, si provano in queste circostanze e si rivolga nel più breve tempo possibile ad un adulto di riferimento o ad un soggetto che abbia le competenze per sostenerlo ed aiutarlo.

Lara La Piscopia