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L’INGIURIA SUL WEB DOPO LA DEPENALIZZAZIONE

Con il D.Lgs. nn. 6 e 7 del 15/1/2016 il reato di ingiuria è stato depenalizzato. Vediamo come è cambiata la normativa, come difendersi e altri aspetti importanti su questo ormai ex reato

Molti esperti di diritto sostengono che, a seguito della depenalizzazione del reato di ingiuria sia più difficile dimostrare la colpevolezza attraverso prove certe e tangibili.
In un processo penale, infatti, la sentenza può essere emanata solamente sulla base delle dichiarazioni della vittima, mentre in quello civile è necessaria la testimonianza di terzi per confermare un illecito.
Risulta ovvio, però, che non sempre le persone sono disposte a partecipare a un processo in Tribunale. Inoltre, il testimone deve avere assistito in prima persona all’ingiuria.

Uno dei metodi più efficaci per dimostrare i fatti è registrare di nascosto la discussione attraverso una specifica app sullo smartphone, ma anche in questo caso è improbabile poter prevedere il momento esatto in cui un interlocutore possa offendere l’onore e la reputazione di un altro soggetto, per potere attivare la registrazione.
Se l’ingiuria avviene tramite i social network, ad esempio Facebook, è più facile potere avere delle prove a disposizione, ad esempio la stampa dello schermo, detta screenshot, in alcuni casi può essere considerata una prova attendibile, se non viene contestata dalla controparte per essere una riproduzione meccanica facilmente alterabile.
In questo caso i testimoni potrebbero dichiarare di avere letto il post con il messaggio incriminato, prima che venisse cancellato dall’autore.

Risarcimento del danno da ingiuria

Abbiamo detto che, a partire dal 2016 è molto più difficile dimostrare di avere subito una ingiuria. Il reato, infatti, è stato depenalizzato, ed ora non è più possibile procedere a livello penale.
La vittima, quindi, può denunciare l’accaduto in un giudizio civile di fronte a un Giudice di Pace o in Tribunale se il fatto è più grave, per ottenere il risarcimento dei danni.
La questione più importante, come abbiamo sottolineato nel paragrafo precedente, riguarda le prove da portare in giudizio per supportare i fatti. Senza documentazioni o testimonianze è impossibile procedere.
Dopo avere recuperato le prove, la vittima anticipa le spese per l’avvocato e per la causa ordinaria, considerando che la durata di un processo civile può essere anche molto lunga. Un individuo in difficoltà economica può avvalersi del gratuito patrocinio.
Tuttavia, per le cause con importo inferiore a 50.000, prima del giudizio vero e proprio, l’avvocato deve procedere alla cosiddetta negoziazione assistita con la controparte. Attraverso una comunicazione scritta, il legale, cerca infatti di trovare un accordo, per tentare di ovviare alla causa in tribunale, visti i tempi molto lunghi della giustizia italiana. 
Va sottolineato anche che, l’illecito di ingiuria si prescrive in 5 anni, quindi la vittima può agire solo entro tale limite temporale, per potere ottenere un risarcimento danni.

Come può difendersi la vittima?

Prima di essere depenalizzato il reato di ingiuria prevedeva una pena alla reclusione fino a 6 mesi o una sanzione pecuniaria fino a 516 euro. Nella realtà dei fatti ciò accadeva di rado, in quanto molti procedimenti finivano quasi sempre in prescrizione, e per i fatti più lievi il caso veniva archiviato senza applicare alcuna pena.
Quindi possiamo dire che, anche prima della depenalizzazione stabilita dalla legge del 2016 il colpevole non veniva punito. 
La vittima aveva comunque la possibilità di citare in giudizio civile il soggetto per chiedere un risarcimento del danno.
A seguito dei cambiamenti normativi del 2016, le cose sono cambiate parecchio. Ora è prevista solo una sanzione civile, cioè una multa che varia da 100 a 8.000 euro. Se si tratta di un’ingiuria aggravata, cioè, commesso in presenza di più persone, la sanzione pecuniaria è superiore, tra 200 e 12.000 euro.

Ma come deve agire la vittima?

A seguito delle novità introdotte negli ultimi anni una persona che ha subito un’ingiuria non deve più fare una querela presso i carabinieri, ma deve intentare una causa civile per ottenere il risarcimento danni.
Se la somma richiesta è inferiore a 5000 euro la questione sarà discussa davanti al Giudice di Pace, in caso contrario la competenza sarà del Tribunale.

Le tempistiche per una causa civile possono essere anche molto lunghe, a seconda del carico di lavoro dei difensori e del magistrato e del numero di testimoni, in ogni caso solitamente non è mai inferiore ai 3 anni.

Il Giudice può condannare il colpevole al pagamento:

  • dei danni provocati alla vittima
  • delle spese processuali
  • di una sanzione civile alla Cassa Ammende dello Stato

Se la persona offesa decide di non agire in Tribunale, limitandosi a scrivere una lettera di diffida, non verrà applicata alcuna sanzione civile e il responsabile resterà impunito, non essendo un illecito perseguibile d’ufficio.

Differenze tra ingiuria, diffamazione e calunnia 

Per completare l’analisi in merito al significato di ingiuria nella giurisprudenza italiana, è utile chiarire quali sono le differenze tra la diffamazione e la calunnia, per alcuni versi simili, ma in realtà con peculiarità molto diverse tra loro. Molto spesso, infatti, i reati vengono confusi tra loro, e i termini stessi vengono usati quasi come sinonimi.
Abbiamo detto che si tratta di ingiuria quando viene leso l’onore e il decoro di una persona che è presente nel momento in cui vengono pronunciate le parole e le frasi offensive. Se la vittima non è presente, però, l’illecito è diverso e si tratta di diffamazione, cioè di una lesione alla reputazione altrui, fatta comunicando con terzi mentre il diretto interessato non è presente. Si verifica una calunnia, invece, quando una persona viene accusata ingiustamente di fronte a una pubblica autorità, in riferimento a fatti non veri.

LIKE FACEBOOK, OCCHIO ALL’EFFETTO BOOMERANG

Un pollice verso o un cuoricino come segno di gradimento, può compiacere all’autore del post, ma a volte questo potrebbe avere effetti sgradevoli con il conseguente intervento della Autorità Giudiziaria


Un like su Facebook costituisce un’attività effettuata con estrema facilità, a volte con leggerezza e in modo compulsivo. Così è facile non pensare alle conseguenze che potrebbero derivarne.
Infatti,

Se il post a cui mettiamo il nostro “Mi Piace” presenta dei contenuti offensivi o addirittura razzisti e/o discriminatori, la nostra attività potrebbe essere considerata penalmente rilevante e potremmo, anche, subire un processo con l’accusa di diffamazione aggravata ai sensi dell’art. 595, comma 3 c.p.

In Italia esistono al momento soltanto due casi di rinvio a giudizio per
diffamazione aggravata a seguito di like aggiunti a contenuti postati su FB da altri soggetti.
Il primo riguarda 7 persone accusate di aver apprezzato un post che accusava il sindaco e alcuni dipendenti comunali del comune San Pietro Vernotico (Brindisi) di essere “fannulloni e assenteisti”.
Il secondo, contestato dalla procura di Genova ad alcuni soggetti che apposero il like ad un post dal contenuto razzista nei confronti dell’ etnia rom.
Va comunque sottolineato che, se il post contiene anche insulti razzisti e discriminatori (come nel suddetto caso all’ esame della procura di Genova), si corre il rischio di essere incriminati per “incitamento all’ odio raziale”, secondo quanto previsto dalla L. 25 giugno 1993 n. 205 (c.d. legge Mancino).

Nell’ attesa di una prima pronuncia dei tribunali italiani in merito, dal momento che nessun procedimento si è ancora concluso con l’emanazione di una sentenza, appare molto difficile che si pervenga ad una condanna per diffamazione a causa di un apprezzamento lasciato su un post altrui di Facebook.
Infatti, secondo quanto previsto dal nostro ordinamento, la diffamazione è
un reato doloso, ovvero l’autore deve agire con coscienza e volontà di
commettere il reato per poter essere dichiarato colpevole.

Un like può sì avere un effetto rilevante, perché fa apparire il post apprezzato sulla home di Facebook dei nostri amici, contribuendo, così, ad aumentare la diffusione del post diffamatorio,


Tuttavia l’accusa dovrebbe dimostrare la coscienza e la volontà del gesto, cosa che risulta alquanto improbabile dal momento che mettere un “like” costituisce un gesto quasi automatico, che molte persone compiono con estrema leggerezza, a volte anche soltanto per compiacere l’autore del post, senza averne preventivamente esaminato con attenzione il contenuto.


Inoltre, accade spesso, che un “mi piace” possa essere messo per sbaglio o
disattenzione, specialmente se l’autore ha operato tramite uno smartphone touchscreen, cui basta sfiorare lo schermo per far partire involontariamente degli apprezzamenti a post di cui non si è nemmeno a conoscenza.

Ad oggi l’unica sentenza di condanna emessa nei confronti di un soggetto che aveva ripetutamente “apprezzato” dei post su Facebook è quella emessa dal
TRIBUNALE DI ZURIGO
La vicenda risale a giugno 2017, quando un giudice distrettuale di Zurigo, ha condannato un uomo di 45 anni al pagamento di una multa di 4.000 Franchi poiché colpevole di aver espresso, per ben 6 volte, il proprio gradimento con il classico “Mi piace“, a delle espressioni ingiuriose nei confronti, di un esponente animalista.
In sostanza il condannato aveva approvato le accuse di antisemitismo e razzismo, rivolte al suddetto esponente da altri frequentatori di Facebook, cui aveva concesso la propria amicizia.
Il 45enne finito sotto processo in seguito a una denuncia da parte del soggetto a cui erano rivolti i post infamanti, non è riuscito ad ottenere l’assoluzione neppure dimostrando che le accuse più recenti, nei confronti di quest’ultimo, avessero fondamento.

IN CONCLUSIONE
il consiglio è quello di verificare con attenzione il contenuto
dei post che si vanno ad apprezzare, per evitare di essere comunque coinvolti in spiacevoli vicende giudiziarie; in ogni caso, stenersi dal pubblicare, condividere e approvare qualsiasi post che possa risultare offensivo e diffamatorio nei confronti di un altro soggetto.

Ciò anche nell’ ottica di un uso più responsabile e civile dei social network e delle immense potenzialità che la rete ci offre.